


un racconto di Alberto Ceresoli,
tutte le fotografie di Martino Cortigiani.

Una notte sentisti i tuoi genitori discutere di sesso e tua madre interrogare tuo padre chiedendogli spiegazioni sul perché non volesse più fare l’amore con lei. Ricordi tua madre supplicare tuo padre di prenderla. Faccio tutto io, se sei stanco, gli diceva. Ti domandasti se avesse valutato la possibilità che suo figlio la sentisse implorare di essere scopata. La mattina seguente ti comunicarono che si stavano separando. Vent’anni prima non erano riusciti ad avere figli e tua madre si era strafatta di ormoni per poi scoprire che non era lei il problema. Dopo la separazione la sentisti più volte raccontare e raccontarsi: Era mio marito ad essere sterile e lo sterile dopo vent’anni di matrimonio ha voluto il divorzio. Pensava che non sapessi nulla di quella troia con cui faceva le immersioni a Sharm El-Sheikh, invece di quella troia io sapevo tutto, si fumavano pure gli spinelli quella troia e l’ingegnere. Se non fosse stato per me neanche si laureava l’ingegnere. Vent’anni di matrimonio buttati nel cesso per la prima troia fricchettona che gli ha fatto annusare la figa.
Potrei essere morta e non lo sapresti, ti diceva.
Da quando sei andato a vivere con tuo padre ti sei completamente dimenticato di tua madre, ma arriverà il giorno in cui… e allora ne vedremo delle belle. Chissà dove saresti ora se non fosse per me, chissà come saresti cresciuto in quella famiglia che neanche ti voleva, saresti ancora chiuso in quella comunità in cui ti abbiamo trovato, un bambino abbandonato tra altri bambini abbandonati. Quando ti abbiamo preso non avevi neanche dei vestiti e lo ricordo io quanti soldi ho speso e la faccia della commessa quando ha battuto lo scontrino.


Tua madre non ti ha partorito, ma ti ha adottato.
Tuo padre ti raccontò che tua madre insistette molto perché imparassi velocemente a chiamarli mamma e papà e ti sei spesso interrogato se tua madre desiderasse davvero essere mamma o desiderasse soltanto essere chiamata mamma. Sai che l’impossibilità dei tuoi genitori di avere dei figli ha causato sofferenza e altra sofferenza è di certo arrivata con l’accanimento farmacologico. Forse l’adozione non ha portato abbastanza amore fecondo e il suo ventre si è riempito di un odio da riversare contro chi ogni giorno gli ricordava il figlio che non aveva avuto.
Il tuo primo ricordo di vita è la casa dei tuoi genitori adottivi. Avevi cinque anni e non hai nessun ricordo precedente. Giocavi vicino al grande acero rosso in giardino. Gli assistenti sociali ti accompagnarono a vedere quella che poi diventò la tua camera da letto, la stessa camera da letto in cui qualche anno più tardi tua madre ti minacciò mettendoti le mani al collo. Quando ti aggrediva era implacabile e i suoi attacchi erano pensati per farti del male. Quando ti picchiava colpiva sempre in faccia e se prontamente alzavi le braccia per proteggerti, i suoi colpi si intensificavano, in forza e in quantità. Eri solo un bambino e pensasti che sarebbe stato meno doloroso farsi colpire e sperare che la soddisfazione di essere andata a segno la facesse finire prima, ma non riuscivi a controllare l’istinto di coprirti il volto. Dovevi solo aspettare che si stancasse o che tuo padre, se era presente, la fermasse. Non c’era una ragione precisa che portava allo scontro e questa sua imprevedibilità ti ha sempre spaventato. Nascondevi la paura per tua madre sulla mensola più alta dell’armadio della tua cameretta, dove collezionavi posaceneri e bicchieri rotti, verifiche di matematica fallimentari, mutante sporche di merda prima e magliette sporche di sperma poi.
Ricordi tua madre puntare un coltello alla gola di tuo padre che per difendersi la prese per i polsi. Tuo padre mi picchia, iniziò a gridare. Ricordi tuo padre calmo, concentrato sulle mani di tua madre che agitava il coltello. Mi ha picchiato. L’hai visto che mi ha picchiato? Ti chiedeva. Poi ripose il coltello e ti disse di sparecchiare la tavola. In famiglia tutti conoscevano la sua irascibilità e ad ogni occasione di incontro tutti facevano attenzione nell’evitare discorsi che avrebbero potuto scatenare incontrollabili reazioni a catena. Bastava davvero un niente per provocare una risposta violenta, così come bastava davvero un niente per passare dalla violenza verbale a quella fisica. Tua madre è sempre stata violenta e ci si è sempre dovuti inventare spettacolari giochi di prestigio per evitare scoppi d’ira, sceneggiate, grida, pianti e veri e propri massacri di lotta greco romana. Hai assistito a innumerevoli esperienze di scannamenti spettacolari, veri e propri munera o venationes. Tua madre è sempre stata una combattente in cerca dello scontro fisico, del corpo a corpo, di un pubblico da impressionare, di un arena da bagnare di sangue e sudore.

Hai bisogno di un bel ricordo. Sei sicuro che qualcosa deve pur esserci.
È possibile che la sua cattiveria, la sua rabbia e la sua violenza, abbiano piegato così ferocemente la tua memoria da impedirti di ricordare? Deve averti amato. Basterebbe il ricordo di una carezza e invece ricordi il frigorifero puzzare, gli avanzi di varie cibarie sui ripiani in vetro, la muffa sui formaggi, le grigie fette di prosciutto. Ricordi quell’inverno in cui dopo pranzo si sdraiava sul divano per rialzarsi soltanto la sera quando tuo padre preparava la cena. Si copriva con una coperta azzurra in lana cotta e si raggomitolava sul divano. Non ricordi si muovesse neanche per andare a pisciare.
Dopo il divorzio ti trasferisti nella nuova casa di tuo padre. Fu una scelta di comodo perché abitare con tuo padre ti avrebbe garantito maggiore libertà. Tua madre non ti perdonò mai. Compiuti i diciotto anni, dopo poco più di un anno di convivenza con tuo padre, lasciasti anche quella casa e la città. Tornasti a casa dopo molti anni all’estero e il problema su chi dovesse ospitare il figliol prodigo si presentò non appena uscisti dall’aeroporto. Non ti era consentito andare da tuo padre perché la donna con cui conviveva era stata chiara: Non ho voluto figli, non voglio i tuoi figli, niente figli tra i coglioni! Dormire a casa di tua madre invece aveva un prezzo. Voleva un affitto e non importava chi pagasse, ma che si pagasse subito. Tua madre aveva diritto ad un ricco assegno mensile per il mantenimento. Inoltre, in seguito al divorzio tuo padre le lasciò la casa che vendette ad una cifra con molti zeri. Nonostante ciò piangeva miseria e quella miseria divenne la giustificazione per chiederti di pagare un affitto. Pagasti il primo mese, ma dopo due settimane ripartisti e non tornasti mai più. Hai chiuso ogni contatto. Potrei essere morta e non lo sapresti, ti diceva.


editing di Alessandro Tesetti.
