un racconto di Antonio Potenza, tutte le fotografie di Sarah Benzoni.
Sono tornato in paese d’estate dopo dieci anni in città. Quando arrivo ho il borsone nella mano destra, tu mi saluti con la sinistra e non mi degni di uno sguardo. Giochi ancora a campanaro in strada, sembri impegnata o invecchiata. Con te tutto il resto.
Le cicale sono mute tra i rami dei pini. I bambini non ridono più sui marciapiedi. L’aria condizionata in camera di mamma e papà ha smesso di funzionare e dagli alettoni aperti colano aliti di plastica. Il palinsesto è morto. I nostri corpi sudati distesi sulle lenzuola fissano lo schermo. Nel televisore le fiction americane sono brusii in bianco e nero. Dal balcone filtra una luce aranciata che ci fa sembrare statue di sabbia. Sciolti i gelati nel freezer che non refrigera. Friselle bucate dalle camole, pomodori spaccati da lingue di muffa. La rucola è un rovo di spine.
Fa solo molto caldo, è soltanto un’estate torrida, dici. Non capisci la mia sorpresa e continui a saltellare su per le scale della nostra vecchia casa. Una volta entrati zampetti dal corridoio di marmo sporco che porta dalla cucina alla camera da letto. La casa ha la stessa disposizione dei mobili e l’identica luce che si allarga nelle stanze dai soffitti larghi. Così è nei miei sogni, che qui sono tutti ambientati. Avverto puzza di muffa. Nei miei sogni, di sudore.
Sto per dire qualcosa, ma sorridi, disinneschi il conflitto. La televisione grigia ci aspetta in camera. Ci sediamo per terra. Continui a non guardarmi, incroci le gambe mentre ti porgo la videocassetta da inserire nel videoregistratore. Dopo un po’ si avvertono dei click metallici.
Ribatto: allora le melanzane rinsecchite? La menta gialliccia? Le stoppie una volta erano dorate ai lati delle strade di campagna. Ora sono nere. Il fuoco ha mangiato la terra. La malattia ha divorato gli ulivi. Siamo circondati da lande di scheletri bianchi. Le hai viste?
Le ho viste.
Non tira più lo scirocco, non soffia niente e niente si muove. Tutto è pietra viva. Restano i muretti e i loro muschi arancioni.
Non ricordo un’estate che non sia stata così secca.
Il mare è denso e ocra. I tramonti sono pallidi. Le giornate hanno perso il loro tempo. I forni a legna hanno scelto l’elettricità. Il pesce sa di mercurio, le pizze di amianto.
Dici che esagero, brontolo, vaneggio.
Fissi lo schermo e non mi guardi. Smuovi la mano nell’aria per zittirmi mentre sul tuo viso si riflette il disturbo bianco e nero del televisore. Qualcosa non va nel nastro della cassetta.
Non mi ascolti, allora. L’insicurezza dei nostri genitori è iniziata con la fine di Festivalbar. Nessuna canzone ci tormenta più.
Siamo solo diventati grandi, fratellone.
Il brusio smette. Inizia un cartone animato di cui ho dimenticato il nome. Forse hai ragione, dico.
Ti volti finalmente. Sorridi. Sei un’anziana bambina. Dici: è il momento di chiuderla.
D’accordo.
Clicco sulla ics e tolgo il visore. L’ho chiusa.
Ritorno in città dove i palazzi mi nascondono a te. Finisce così l’emulazione delle nostre estati.