Le nostre collane hanno i nomi delle stanze di una casa.
Non per vezzo architettonico, ma perché ci piace pensare ai libri come a spazi abitabili, con porte che si aprono e chiudono, stanze che comunicano fra loro e qualche finestra sempre aperta.
Atrio è la soglia, il punto in cui si arriva e si resta un attimo sospesi: né fuori né dentro, con ancora addosso la pioggia o la polvere di strada. È la collana della narrativa, dove i romanzi si presentano così, in controluce, indecisi sul tono da usare.
STC significa Storie che Tornano a Casa.
Quando lo abbiamo scelto non era un manifesto, era un desiderio: che i libri, le persone, le storie potessero avere un posto in cui tornare, anche se nel frattempo erano passati da mille altri luoghi.
Non crediamo in un’editoria stanziale, con un indirizzo fisso e orari d’apertura. Ci piace chiamarla editoria vagabonda: quella che si muove con gli zaini, che si appoggia dove trova amichɜ, che non ha paura di dormire sul divano di qualcunə pur di esserci.
Ma anche un’editoria così, che gira, attraversa, devia, a un certo punto ha bisogno di una casa.
E la casa, per noi, è sapere che ogni libro nasce da una comunità — di scrittorɜ, lettorɜ, libraiɜ, persone che leggono e discutono.
Quando diciamo “storie che tornano a casa” parliamo di un ritorno alla prossimità: libri che non cercano di piacere a tuttɜ, ma che trovano chi li riconosce; storie che circolano per mano, non per algoritmo; persone che si incontrano davvero, ai reading, sui Flixbus, nei messaggi scambiati la notte dopo una presentazione.
Facciamo un’editoria piccola, sì, ma non solitaria.
Ogni libro che pubblichiamo è una casa aperta — a chi arriva, a chi passa, a chi resta.
E se vi va, potete entrare anche voi: c’è sempre una stanza libera, una storia che aspetta di tornare, una luce accesa nell’atrio.
1 settimana ago